Come ci racconta l’abate Pietro Nallino in un memoriale scritto il 16 Marzo 1797, la scoperta della grotta appare del tutto casuale e per certi aspetti immersi in un’aurea di leggenda che rende ancora più affascinante la storia.
Il 13 Marzo 1797 un cacciatore che seguiva le impronte di una volpe sulla coltre nevosa, in una località poco distante dalla sorgente del torrente Branzola, riuscì a scorgerla mentre si appiattava e scompariva in un’angusta tana nei pressi di una cava dove si estraeva un particolare tipo di pietra adatta a preparare la calce.
Si avvicinò cautamente all’imboccatura, sparò un paio di colpi e, sicuro di averla ferita, fece entrare nello stretto cunicolo un ragazzo per trascinarla fuori.
Dopo aver strisciato bocconi per un “trabucco e mezzo” il giovanotto si trovò in un grande antro col serio pericolo di precipitare nel vuoto.
Si mise allora a strillare di spavento, tanto che il cacciatore dovette introdursi nello stretto passaggio per portare soccorso all’involontario “esploratore”.
Usciti entrambi dalla grotta corsero in paese a dare la notizia.
In un baleno la “nuova” fece il giro delle contrade e si diffuse nelle frazioni, tanto che tutta la gioventù del luogo con zappe e picconi si radunò nella zona indicata per dilatare l’imboccatura e scoprire il mistero celato dalla roccia.
Questa la versione ufficiale che tuttavia diverge leggermente dalla tradizione orale raccontata dagli anziani del paese. Secondo quest’ultima ad introdursi nel cunicolo all’inseguimento della volpe sarebbe stato il cane del cacciatore che si trovò improvvisamente in una situazione senza via d’uscita.
Ai richiami del padrone rispondevano solo latrati lontani. Incuriosito e preoccupato, il cacciatore sarebbe corso in pese a chiedere soccorso... quel giorno vi entrarono più di 300 persone, per cercare di discernere quanto più potevano di quell’universo sotterraneo popolato di incredibili meraviglie.
“Poi, dopo le calde parole di ammirazione - scrive Delfino Orsi nello splendido volumetto dedicato alla grotta - subito le menti fantasiose creano la leggenda. Il nome curioso di una vicina borgata, detta Paganotti, aiuta il lavorio degli spiriti. Di sicuro, si conclude presto, la grotta è un antico tempo dei pagani che abitavano la”.
Così gli incolpevoli ed ignari abitanti dei Paganotti, grazie alla grotta divennero pagani.
Suggestione, leggenda e storia: la grotta dei Dossi ci offre un mirabile intreccio di realtà e fantasia che contribuirono a suscitare una fama dilatata, nel secolo successivo, dalla grandiosa inaugurazione del 15 Agosto 1893.
15 AGOSTO 1893 - IL GRANDE GIORNO DELL’INAUGURAZIONE
Villanova imbandierata accoglie i visitatori: alle 7.30 sul piazzale difronte al Municipio di Mondovì stazionano già 100 e più gitanti e una buona dozzina di veicoli, giunti appositamente da Villanova.
Sono presenti fra gli altri, il Sen. Garelli, l’Avv. Viale, l’Avv. Baretti, il Sindaco Avv. Comino, l’Ing. Gianoglio, con le rispettive consorti e tutto un reggimento di giornalisti di ogni nazionalità.
Poco prima delle otto il Prof. Delfino Orsi, anima dell’iniziativa dà il segnale della partenza. All’Annunziata già si scorgono le bandiere e i pennoni che abbelliscono il capoluogo della Roatta; la piazza della chiesa di San Lorenzo è gremita di gente. La banda musicale intona la marcia reale.
Da Villanova ai Dossi, le carrozze, impiegano un quarto d’ora. Si discende ai piedi di una collina “verdeggiante di pampini e pomi, di peri e di peschi” e ci si incammina lungo il sentiero serpeggiante che ci conduce al piazzale. La banda musicale “tagliando” per i boschi è giunta prima dei visitatori e si presenta con gli ottoni luccicanti, schierata sul piazzale e pronta ad eseguire il proprio concerto.
Alle nove la signora Irene Sola Garelli tocca con una bottiglia di champagne lo stipite dell’uscio della grotta che si schiude ai visitatori. Tutti applaudono e si affollano all’ingresso. Incomincia la discesa: una prima sala, una seconda, una terza e così via... fino ad una ventesima e più. Alle 11.30 la comitiva si ritrova nuovamente riunita sul piazzale e ridiscende il sentiero per tornare alle carrozze.
L’appuntamento per tutti è al teatro Garelli dove viene servito un sontuoso pranzo con un menù che prevede, fra l’altro “fritto alla Villa, tagliatelle ai Dossi, umido alla Mondovita e pesci con insalata dei monti”, il tutto irrorato da un eccellente dolcetto che a poco a poco scalda lo stomaco e scioglie le lingue per gli inevitabili discorsi di rito.
LA PRIMA GROTTA D’ITALIA ILLUMINATA A LUCE ELETTRICA
La storia della Grotta dei Dossi è segnata da un marcato vandalismo. Per parecchi anni, dalla scoperta fino alla metà dell‘800, le sale più vicine all’apertura furono sistematicamente depredate da schiere di avventurieri che asportavano stalattiti e stalagmiti per venderle sul mercato di Mondovì al prezzo quasi fisso di una lira e 40 centesimi in miriagrammo.
Molte finirono nei giardini della Liguria, altre in abitazioni locali, ma il risultato fu un vero salasso per la grotta che lentamente perse l’interesse della gente.
Dal 1880 il giornale “Villanova” - fondato da Pietro Orsi futuro deputato e docente universitario- torna a far leva sull’opinione pubblica per rilanciare la caverna.
Pietro Orsi intuisce le enormi potenzialità turistiche della grotta e nel 1884, con il signor Alberto Perotti, ne chiede la concessione. Ma occorrerà attendere fino all’agosto 1882 perché l’idea - ripresa da Giulio Fenoglio, Francesco Garelli e Delfino Orsi - possa andare felicemente in porto.
Le azioni della “Società per la Grotta dei Dossi” - poste in vendita a 10 lire l’una, trovano parecchi acquirenti; la presidenza viene affidata alla signora Irene Sola Garelli ed al senatore Lorenzo Eula; il primo consiglio di amministrazione è costituito da Francesco Garelli presidente, Cristoforo Galleano, Giovanni Garelli, Pietro Orsi, Pietro Osella, Giulio Fenoglio e Delfino Orsi.
I lavori, iniziano il 4 Ottorbre 1892 e termina a Luglio dell’anno successivo (per asportare 604 metri cubi di roccia vengono impiegati 142 kilogrammi di polvere dinamite e fatte brillare 1504 mine). 30 lampade Edison - alimentate a luce elettrica con l’impiego di un motore a petrolio “Otto” della fabbrica Langen e Wolff, istallato dalla ditta Gandolfo & C. di Chiusa Pesio - esaltano le tonalità delle concrezioni.
Il biglietto d’ingresso costa 1 lira, il viaggio in carrozza da Mondovì con l’escursione guidata in grotta ammonta a 2 lire e 50 centesimi; con 9 lire si ha diritto anche al pranzo e alla visita pomeridiana al santuario di Santa Lucia.
A Villanova giungono giornalisti delle maggiori testate: Gazzetta del Popolo, Corriere della Sera, Secolo, Figaro e Illustration di Parigi - per citarne alcune - che dedicano ampi servizi alle meraviglie della Grotta dei Dossi.
I “pisoliti” formati da “rena alabastrina e cilindrica” presenti sul pavimento di alcune sale, suggeriscono al pasticciere monregalese Baravalle l’idea dei “Confetti dei Dossi” che riproducono in cioccolato la forma delle concrezioni.
Migliaia di persone giungono a visitare la prima grotta d’Italia illuminata a luce elettrica, ma di li a pochi giorni un incendio del motore a petrolio distrugge il casotto delle macchine sul piazzale e provoca danni enormi che ammontano a 2.000 lire. Una batosta tremenda che verrà comunque superata.
Dopo la grande euforia di fine secolo, la Grotta dei Dossi ha vissuto alterne vicende di notorietà ed oblio fino al tentativo di rilancio in grande stile operato negli anni 60 dal signor Artusio. Un tentativo che ebbe il merito di riportare alla ribalta tesori di un paradiso conosciuto fino ad oggi da pochi speleologi o appassionati.
UN MERAVIGLIOSO INTRICO DI SALE E GALLERIE
La Grotta dei Dossi presenta una nutrita serie di sale e corridoi decorati da concrezioni policrome di svariate forme e dimensioni.
Facendo riferimento all’opera di Delfino Orsi - pubblicata nel lontano 1893 - ci limitiamo ad una panoramica delle diverse sale della caverna. Si inizia con la “Sala della Frana” così definita per l’imponente crollo che in tempi remotissimi dovette ostruire l’ingresso della grotta.
Sulla sinistra, attraverso “la Galleria Moresca”, dalle pareti lavorate a frastagli finissimi, si nota l’enorme “Barca di Caronte” evocatrice di suggestive immagini mitologiche. Si giunge quindi al “Salone del Lago” con pareti stalattitiche dalla sfumature che variano dal bianco al grigio ferro al rosso cupo.
La passeggiata lungo il lago costeggia le falde della “Montagna” su cui si inerpica una deliziosa “rampa” che serpeggia tra un colonnato alabastrino.
Troviamo, poi, in successione i “Bagni di Venere” di bianchezza marmorea, il “Salottino Gotico” a volta cuspidale, la galleria definita “albo dei visitatori” sulle cui pareti levigatissime i primi esploratori - compresi i due giovani contadini del luogo Marabotto e Salomone, che nel 1845 rimasero tre giorni nella grotta incapaci di uscirne, finché furono salvati dalla popolazione - scrivevano i loro nomi.
Ed ancora: la “Sala Bianca”, la “Sala del Bacino”, la “Sala della Doccia”, la “Gran Sala del Cigno”, la “Sala Mondovì”, il “Salone Villanova”, la “Galleria dell’Innominato”, “L’Anticamera dell’Inferno”, la “Salita dei Fastidi”, il “Tempietto di Tripode”, la “Grotta dei Pipistrelli”, la “Sala Rossa”, la “Sala del Buon Genio” e la “Grotta delle Fate”, l’ultima ad essere scoperta e fra le più interessanti anche per la presenza di numerosi “pisoliti” o “confetti dei Dossi”
di G.B.Rulfi